“Divisa” di Agnolo d’Anghiari e Sigismondo Pandolfo Malatesta

Agnolo d’Anghiari detto Taglia figura tra i capitani di parte fiorentina che parteciparono alla battaglia di Anghiari. Originario della stessa località della Valtiberina, all’epoca comandava circa 300 cavalli e si distinse soprattutto negli scontri che precedettero la famosa battaglia.

Di lui tratta diffusamente Giusto Giusti nei suoi “Giornali”[1]essendo stato suo procuratore nella condotta di ventura dal 1437 al 1442, mentre Nerida Newbigin, che ultimamente ha trascritto e pubblicato questi “Giornali”, lo indica appartenente alla famiglia anghiarese dei Mazzoni[2] .

Nei Dieci di Balìa e nel Dizionario Bibliografico degli Italiani il nostro Agnolo invece appare come Angelo Pieri d’Anghiari[3].

Lorenzo Taglieschi, storico anghiarese del primo seicento, è più preciso e lo chiama Agnolo di Piero del Vecchietto detto Taglia[4]. Infatti sembra fosse figlio di un certo Piero che a sua volta faceva parte della numerosa famiglia (otto figli) di Bartolomeo detto il Vecchietto stabilitosi in Anghiari nel 1345 e che conseguentemente  diede vita a una numerosa discendenza che si sviluppò in molte località del centro Italia come Anghiari, Arezzo, Gaeta, Rimini, Casentino con le famiglie Cherici, Marcheschi, Mazzoni, Taglieschi ecc[5]. Il Taglieschi spiega pure che il suo soprannome “taglia” dovrebbe derivare dall’impresa della sua arme la “taglia” appunto[6]. A riguardo la conferma la ritroviamo nei “Giornali” dove il Giusti scrive: “Martedi a dì 16 di dicembre (1438) spiccai braccia quattro di panno verde dal fondo di Benintendi e Antonio Pucci per far fornire le taglie delle divise d’Agnolo”[7].Il Taglieschi non precisa in quale emblema consistesse questa “taglia” ma la ricorda adottata principalmente dalla famiglia Diani ( la quale usava inquartarla con “due campi d’onde [8] ) di cui faceva parte il nonno di Agnolo e passata poi ad altre famiglie discendenti come i Marcheschi, i Mazzoni e i Taglieschi, questi ultimi dice il Taglieschi nei suoi “Annali della terra d’Anghiari” : “hanno sempre usato per arme l’onde e le taglie [9]”. Nella ( fig. 1 ) si può osservare lo stemma dei Taglieschi tratto proprio dalla copertina del citato libro degli “Annali”, mentre la ( fig. 2)  mostra lo stemma dei Mazzoni tratto dalla Raccolta Ceramelli Papiani conservata nell’Archivio di Stato di Firenze e visibile nel sito internet dell’Archivio stesso. La dicitura araldica di questo blasone recita così : “ Inquartato : nel I° e IV° di verde, allo scettro posto in palo d’argento, accollato da un nastro di rosso; nel II° e III° pure di verde, a tre filetti d’argento e di rosso ondati e posti in fascia “. I due stemmi sono molto simili anche nei colori bianco, rosso e verde e differiscono solamente nelle partizioni dei colori stessi.

 

arme taglieschi

fig.1

stemma mazzoni

fig.2

È evidente che la “taglia” non è altro che una S intersecata da una I decorate dai colori rosso, bianco e verde, lo stesso verde usato dal Giusti per far fornire le taglie di Agnolo.

A questo punto studiosi ed appassionati d’araldica avranno notato la  straordinaria somiglianza tra questa “taglia” e la S e la I portate come impresa più nota dal signore di Rimini Sigismondo Pandolfo Malatesta nello stesso periodo. Comunemente gli studiosi di Sigismondo danno due spiegazioni per l’origine di quest’impresa. La prima viene riconosciuta come le due iniziali di Sigismondo mentre l’altra come  il connubio tra i nomi Sigismondo e Isotta degli Atti terza moglie del Malatesta. Questa sigla appare per la prima volta su di una medaglia del Pisanello raffigurante Sigismondo datata 1443-1444[10] , mentre nel 1446 Sigismondo inizia la sua relazione amorosa con Isotta che sposerà dieci anni dopo[11]. Nella (fig. 3) si può notare un particolare tratto da “Hesperis” di Basinio da Parma che commemora la vittoria di Sigismondo a Piombino raffigurante un suo capitano a cavallo[12].Questo porta barda e giornea con l’impresa della S e I inquartata con un troncato increspato di rosso e di verde che anche nel tricolore assomiglia molto alla nostra “taglia”.

cavaliere di sigismondo pandolfo malatesta

fig.3

La somiglianza tra queste due imprese potrebbe essere solamente casuale ma di fatto i due personaggi ebbero rapporti non casuali specialmente grazie al capitano anghiarese.

Questi, dai documenti finora trovati, appare dal 1431 al 1433 alle dipendenze di Micheletto Attendolo con una condotta di 66 cavalli[13] , poi nessuna notizia fino al 1437 quando inizia la ferma sotto Firenze con 200 cavalli[14]. Nel 1438 rinnova il contratto per 302 cavalli[15] e un anno dopo per 312[16] sempre con Firenze.

Nello stesso anno il Giusti inizia a negoziare il passaggio della condotta del Taglia sotto le bandiere di Sigismondo il quale arriverà persino a favorire la creazione di un piccolo feudo del capitano. Quest’ultimo pochi mesi dopo la battaglia di Anghiari passerà sotto il Malatesta con 300 cavalli e 400 fanti trasferendo anche la sua residenza a Rimini[17]. Sigismondo dona ad Agnolo poderi, case, castelli in mezzadria, il capitano vince per il suo signore più volte ma specialmente sui Montefeltro ( storici nemici dei Malatesta ) a Montelocco nel 1441[18]. Infine il Taglia fa una breve ferma sotto Francesco Sforza fino al 1442,  poi più nulla fino alla morte, come racconta il Taglieschi, avvenuta a Rimini all’età di 52 anni[19] con esequie di gran pompa poco frequenti al periodo. Era il 1444 all’incirca l’anno della medaglia del Pisanello.

Molte volte nella storia divise o stemmi hanno cambiato di mano tra i potenti, vedi gli Sforza divenuti duchi di Milano ereditare anche il biscione dei Visconti o il Piccinino ereditare con la condotta anche le divise dei bracceschi o il “nodo” Broglia passare al Tartaglia poi al Gattamelata e a tanti altri. Il passaggio però è sempre stato da signore a subalterno, forse questo potrebbe essere un singolare caso in cui il passaggio avviene al contrario dato che casualmente il simbolo della “taglia” coincide con le due iniziali di Sigismondo.


[1] G. d’Anghiari, “Memorie dall’anno 1437 al 1481”, Bibl. Naz. Firenze, ms. II. II. 127.

[2] N. Newbigin, “I Giornali di Ser Giusto Giusti d’Anghiari (1437- 1482)” in “Letteratura Italiana Antica”, anno III- 2002, pag. 45.

[3] Archivio di Stato di Firenze, X di Balìa, “Deliberazioni e Condotte”, N. 16r, 18c, 24r. Dizionario Bibliografico degli Italiani, voce: Baldaccio d’Anghiari, pag.438.

[4] L. Taglieschi “Annali della terra d’Anghiari” , Anghiari 1991, pag. 164.

[5] L. Taglieschi cit. pag. 123.

[6] L. Taglieschi cit pag. 164.

[7] G. d’Anghiari, cit. ms. II. II. 127, c. 36r. N. Newbigin, cit. pag. 56.

[8] L. Taglieschi, cit. pag. 55.

[9] L. Taglieschi, cit. pag. 123.

[10] “Pisanello una poetica dell’inatteso”, Silvana Editoriale, 1996, pag. 165- 166; “Il potere le arti la guerra. Lo splendore dei Malatesta”, Electa, 2001, pag. 278.

[11] C. Rendina “I capitani di ventura”, Newton & Compton editori, 1999, pag. 180-189.

[12] L’opera del Basinio è datata 1462-1464 più di 14 anni dopo i fatti di Piombino.

[13] Archivio della Fraternita dei Laici di Arezzo, Fondo Testatori, Compagnie di ventura, reg. 3562, c. 7r, 72v; reg. 3569, c. 13, c.17; reg. 3572, c. 2r, c. 90r.

[14] N. Newbigin cit. pag.49.

[15] N. Newbigin cit. pag.52.

[16] X di Balìa cit. N. 24r.

[17] L. Taglieschi, cit. pag. 178.

[18] L. Taglieschi, cit. pag. 182. In quell’occasione è aiutato dal conestabile anghiarese Gregorio d’Anghiari della famiglia Taglieschi.

[19] L. Taglieschi, cit. pag. 189.

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