Il raid di Kittaning del 1756 e i guerrieri Lenni- Lenape

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Da Soldatini n°113 luglio-agosto 2015

La spedizione punitiva di Kittaning, da parte del colonnello John Armstrong comandante del secondo battaglione della Pennsylvania contro gli indiani Delaware, avvenne nella così detta guerra Franco-Indiana, conosciuta in Europa come la guerra dei Sette Anni. Questo conflitto tra Francia e Gran Bretagna infatti ebbe inizio in America nell’estate 1754, per il possesso della ricca e incontaminata valle dell’Ohio, sulla quale ambedue le potenze europee vantavano diritti.
Non riuscendo ad aver ragione dei francesi con le truppe coloniali, l’Inghilterra spedì il generale Edward Braddock con circa 2.000 soldati, in gran parte regolari, per attaccare e distruggere il principale insediamento francese nella valle, Fort Duquesne. Ma il 9 luglio 1755 l’esercito inglese venne duramente sconfitto dai franco-indiani con la perdita di più di 900 uomini e la morte dello stesso Braddock.

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Mappa delle operazioni

 

Da quel momento gruppi di guerrieri pellerossa filo francesi si riversarono contro gli insediamenti delle colonie inglesi, attaccando sopratutto la Pennsylvania. I più agguerriti furono i guerrieri dealware che vivevano sul fiume Allegheny, che avevano forti motivi di astio verso gli inglesi, i quali li avevano precedentemente scacciati dalle loro terre d’origine situate sulla costa atlantica del New Jersey. Negli attacchi vennero saccheggiate e distrutte fattorie, villaggi, colture, ucciso bestiame e fatti prigionieri centinaia di uomini, donne e bambini. Gli storici hanno calcolato che dall’inizio delle ostilità all’autunno 1756, lungo tutta la frontiera erano stati catturati o uccisi ben 3.000 coloni. Tra gli attacchi più cruenti ricordiamo il massacro di Peen Creek il 16 ottobre 1755, contro i coloni tedeschi e il raid di Fulton Country il 31 ottobre dello stesso anno. Questa incursione durò diversi giorni e vi parteciparono anche guerrieri shawnee. Entrambi le spedizioni erano guidate dal sakem delaware Shingas, da quel momento chiamato “il terribile”. I guerrieri delaware spesso mutilavano i corpi dei morti lasciandoli sul posto come monito. A Penn Creek bruciarono la parte inferiore di un uomo e lo posizionarono come fosse seduto, con due tomahawk infissi sulla testa. Venne anche trovata una donna con i seni tagliati e sostenuta da un palo che attraversava il suo corpo.
Tali mutilazioni facevano parte di una campagna di terrore psicologico destinato a intimidire e avvilire i coloni, tattica comunque per niente dissimile da quelle impiegate dai coloni inglesi durante le guerre contro i popoli indigeni in Virginia e New England. Inorriditi migliaia di abitanti fuggirono verso est, lasciando larghi tratti della frontiera deserti.
Il governo della Pennsylvania con la maggioranza quacchera, da sempre pacifista, era in disaccordo sul da farsi, così alla fine venne decisa una tattica difensiva. Nel novembre 1755 l’assemblea approvò l’arruolamento di un reggimento provinciale, inoltre vennero stanziati fondi per la costruzione di forti. Ma le opere difensive non furono la salvezza, al contrario.

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Schizzo di Jhon Armstrong raffigurante la pianta di Kittaning. Da “The Kittaning Raid of 1756”.

 

Infatti il 1 aprile 1755 indiani dell’Allegheny attaccarono e distrussero Fort McCord e poco dopo uccisero 27 coloni presso la Contea di Cumberland. Con loro c’era Shingas e un nuovo e coraggioso capo delaware, Tewea conosciuto dai bianchi come Capitan Jacobs. Quest’ultimo il 30 luglio 1756 guidò i dealware nell’attacco a Fort Granville sul fiume Juniata assieme ad un distaccamento di soldati francesi comandati da François Coulon de Villiers. L’impresa si risolse con la distruzione del forte, che faceva parte delle opere difensive appena costruite dal governo della Pennsylvania, inoltre la cattura di circa 30 prigionieri e l’uccisione del comandante, il tenente Edward Armstrong, fratello del colonnello John Armstrong.
A questo punto la pressione popolare costrinse il governo a decidere una rappresaglia e fu lo stesso colonnello Armstrong ad organizzarla. Kittaning sul fiume Allegheny fu identificata come base di partenza delle spedizioni delaware, infatti Shingas e Tewea avevano lì le loro abitazioni, oltre al fatto che in quella città vivevano più di 100 prigionieri bianchi che bisognava liberare.

Il 30 agosto 1756 il tenente colonnello John Armstrong con 307 uomini del II° battaglione della Pennsylvania partì da Fort Shirely in direzione della città di Kittaning. Dopo nove giorni i soldati americani raggiunsero l’obiettivo, e senza essere stati avvistati da nessun nemico.
Il racconto che segue è tratto dal rapporto che fece lo stesso Armstrong, inframezzato da testimonianze, contenute in altri documenti.
La notte del 7 settembre a sei miglia dalla città due guide avvistarono un fuoco nei pressi della strada con (così sembrava alle guide) pochi indiani attorno. Il colonnello decise di lasciare il luogotenente Hogg con 12 uomini per controllare ed eventualmente attaccare questi nemici. Con il resto della truppa proseguì l’avvicinamento a Kittaning. I soldati americani furono guidati nella marcia dal suono dei tamburi che provenivano dalla città e tenendo il fiume Allegheny sulla sinistra raggiunsero Kittaning da sud. Armstrong divise le truppe in due parti, inviò alcune compagnie in direzione nord-est, mentre lui con il grosso si preparò ad attaccare la zona sud-est, la più importante della città. Kittaning, il cui nome significa “grande corrente” più che un grosso villaggio era un insieme di piccoli insediamenti che punteggiavano entrambe le rive del fiume Allegheny. All’alba dell’otto settembre iniziò l’attacco, il gruppo del colonnello dopo aver attraversato un campo di grano si lanciò contro le abitazioni facendo fuoco. Gli indiani furono colti di sorpresa ma molti riuscirono a fuggire portandosi dietro i prigionieri. Il soldato Robert Robinson che partecipò all’attacco scrisse: “Ci siamo precipitati verso la città. I cani degli indiani abbaiavano e dalla prima casa un indiano uscì con la mano alzata per proteggersi dalla luce e guardando verso di noi. Cinque fucili spararono e lui corse via gridando “shewanick!” che significa “uomini bianchi”. Da un’altra casa uscì una giovane donna, una prigioniera, con le mani alzate, ma spaventata dai colpi di fucile corse di nuovo in casa e fu ferita ad un braccio. Uscì una seconda volta e fu presa da noi”.
I combattimenti si concentrarono attorno alla casa di tronchi, a due piani, del capo Tewea, il quale con altri guerrieri aveva organizzato una pronta difesa. I resoconti dicono che i coloni iniziarono a subire svariate perdite causa il fuoco preciso che partiva dalle feritoie delle abitazioni (Vedi Tav. 1). Armstrong venne colpito alla spalla, il capitano Hugh Mercer ebbe il braccio spezzato da un colpo di moschetto. Molti altri i soldati della Pennsylvania caddero vittime dello sbarramento dei delaware. Tra i più precisi nel tiro Tewea, che lo stesso Armstrong ricorda: “raramente mancò di ferire o uccidere qualcuno dei nostri”(Vedi tav.2). Constatando l’inefficacia del proprio fuoco contro le case, il colonnello ordinò di incendiarle. Fuoco e fumo resero difficile agli indiani il mantenimento delle posizioni, sebbene si raccontano vari tentativi di resistenza. Un delaware a cui fu intimato di arrendesi prima di finire bruciato vivo, aveva risposto che non gli importava di morire poiché prima avrebbe ucciso quattro o cinque bianchi, un altro che per dimostrare il proprio valore si mise a cantare, mentre rimproverava aspramente una squaw nella stessa abitazione che piangeva ed urlava. Altri due uomini e una donna mentre il calore diveniva insopportabile saltarono fuori dalla loro casa correndo verso il campo di grano, dove furono subito abbattuti. Lo stesso Tewea, che si vantava di poter mangiare il fuoco, dovette saltare giù quando le fiamme raggiunsero il piano superiore della sua casa. Venne seguito dalla moglie(che nel combattimento l’aiutava caricando i fucili(Vedi tav.2)) e dal figlio (nei resoconti è nominato come King’s Son) . Armstrong scrive che i tre vennero subito uccisi. Nella relazione di un certo Thomas Barton si legge che il capo delaware fu ucciso da un soldato di nome Robert Callender. Mentre il reverendo William Smith scrisse: “egli (Jacobs) dovette uscire ed attaccò i nostri con il Tomahawk, gridando che sarebbe morto da soldato non da schiavo”. Sul suo corpo esanime furono trovate ben sette ferite da pallottola.
Poco dopo le abitazioni furono sconvolte da vari scoppi ed esplosioni poiché gli incendi avevano raggiunto i sacchi e i barili della polvere da sparo, accumulata nei solai assieme a grandi quantità di merci donate agli indiani dai francesi. Si racconta che il tetto della casa di Tewea esplose lanciando a grande altezza la gamba e la coscia di un indiano ed anche un bambino di 3 o 4 anni, ricadendo nel campo di mais.
A questo punto del combattimento Armstrong lasciò i suoi a stanare gli ultimi difensori e si avviò sulla collina ad est del villaggio in cerca del medico. Su questa altura si erano rifugiati i feriti, gli sbandati e le compagnie che erano stati mandati a nord.
Qui il colonnello trovò alcuni prigionieri liberati i quali lo informarono che in quello stesso giorno dovevano arrivare due bateaux Francesi con molti soldati e un grosso gruppo di delaware e altri indiani. Questo distaccamento doveva unirsi a Jacobs ed i suoi per attaccare Fort Shirley in Pennsylvania.
Altri soldati confermarono la notizia riferendo di aver avvistato rinforzi francesi ed indiani dall’altra parte del fiume. Il marchese di Montcalm, comandante in capo dell’esercito francese in America, riferisce nei suo “Journal des campagnes en Canada” di Monsieur Jean-Daniel Dumas che con il suo distaccamento aveva inseguito 300 inglesi che avevano cercato di bruciare il villaggio di Attigué (Kittaning per gli inglesi), ma erano stati dispersi e molti rimasero “morti di fame nei boschi”
Stanco di sei ore di combattimento e timoroso di un contrattacco franco-indiano Armstrong ordinò la ritirata. Purtroppo quest’ultima divenne caotica, i soldati della Pennsylvania caricarono i feriti sui cavalli presi agli indiani ma nella fretta lasciarono coperte e approvvigionamenti. Il colonnello scrisse che furono raccolti una dozzina di scalpi dei nemici. Intanto dalla parte ovest del fiume Allegheny i delaware attaccarono guidati dal capo Shingas. Quest’ultimo abitava nella parte destra del fiume e la mattina, udendo gli spari e i clamori dell’attacco, aveva aiutato a mettere in salvo donne, bambini e prigionieri, mentre ora organizzava il contrattacco.
La ritirata si trasformò presto in fuga, molti si sbandarono. Buona parte della compagnia del capitano Mercer prese un’altra strada e si perse nei boschi, solamente il capitano e altri due soldati ritornarono 10 giorni dopo. Il luogotenente Hogg, che era rimasto a guardia a sei miglia dalla città con 12 uomini, era stato attaccato da molti indiani. Questi lo avevano ferito a morte e ucciso 5 dei suoi, mentre gli altri soldati si diedero alla fuga.
La maggior parte degli uomini di Armstrong raggiunsero la salvezza a Fort Lyttelton il 12 settembre, soli quattro giorni dopo la battaglia e altri arrivarono a Fort Augusta sul fiume Susquehanna.

L’assalto fu salutato come un grande successo da parte delle autorità della Pennsylvania e Armstrong fu festeggiato come un eroe. Egli calcolò in 30/40 gli indiani uccisi, 30 case bruciate e 10 prigionieri salvati. Le proprie perdite in 17 morti, 13 feriti e 19 dispersi. Il governo dello stato fece fare una medaglia commemorativa per glorificare l’avvenimento.
Attualmente gli storici americani ridimensionano molto la vittoria. Intanto Kittaning non fu completamente distrutta , solamente le case della parte est del fiume furono bruciate, e non tutte.
Alcuni storici dicono che i morti pellerossa furono una cinquantina, ma la maggior parte dei rapporti contemporanei danno cifre di gran lunga inferiori. I resoconti francesi parlano di soli 7 morti, mentre i delaware ammetterono 14 indiani morti. La stessa cifra di scalpi presi ai nemici venne ricordata dal soldato Robert Robinson e lo stesso colonnello Armstrong scrisse che: “all’inizio della ritirata avevamo una dozzina di scalpi”. Insomma sulla base di queste prove è molto probabile che i delaware subirono molte meno perdite degli inglesi, comunque è stato appurato che i 300 uomini della Pennsylvania combatterono contro appena 80, forse 100 guerrieri di Kittaning.
L’obiettivo di liberare i 100 prigionieri non fu raggiunto in quanto solo 11 di loro fuggirono con Armstrong. Quattro vennero ripresi dai delaware che si vendicarono bruciando vivi un uomo e una donna. Marie Le Roy prigioniera a Kittaning, racconta che la donna, Mrs McAllister, era fuggita con gli uomini di Armstrong (si trattava della stessa prigioniera ferita ad un braccio del racconto di Robert Robinson) ma fu ripresa. Ella subì tortura dalle nove di mattina fino al tramonto: venne prima scalpata e sulla ferita gli conficcarono delle schegge di legno bruciato, poi gli tagliarono le orecchie e le dita e gliele fecero ingoiare. In seguito la bruciarono in vari punti finché un ufficiale francese, che assisteva al supplizio mosso a compassione, la uccise.
Tuttavia in questo attacco sono da rimarcare due aspetti di rilievo il primo fu che gli americani avevano marciato per più di 150 miglia per raggiungere Kittaning, evento inusuale per i coloni, anche se non per i franco-indiani. Il secondo fu l’uccisione del capo Tewea seppure il capo principale Shingas era rimasto illeso.
Le spedizioni dei pellerossa contro la Pennsylvania non diminuirono ma aumentarono. Dal luglio 1755 all’attacco a Kittaning ci furono 78 raid pellerossa con 484 coloni morti e 202 catturati. Dopo Kittaning fino alla fine del 1757 ci furono 88 raid con 228 morti e 173 catturati. Venne anche abbandonato e distrutto Fort Shirley.
Concludendo in sintesi la storia dei delaware. Erano una popolazione di razza algonchina che viveva nel New Jersey in una confederazione che parlava due dialetti principali, il Munsee e l’Unami. Con l’arrivo dei primi bianchi all’inizio del 1600 erano circa 20.000 e si autodefinivano Lenni-Lenape che vuol dire “Veri Uomini”. Dai viaggiatori bianchi furono descritti come un popolo caldo e ospitale, ma con il tempo il loro istinto naturale venne messo a dura prova dai tradimenti dei bianchi fino a provocare in loro una violenza terribile. Infatti le mutilazioni sui morti e le torture finora raccontate non appartenevano alla loro cultura ma vennero adottate per necessità, assimilate da altri pellerossa, come gli irochesi e dagli stessi bianchi. Inizialmente dovettero subire la pressione degli olandesi e degli svedesi che di volta in volta armarono di fucili gli indiani mahican, mohawk e susquehannock (irochesi della Virginia) provocando una serie di conflitti che coinvolsero negativamente i lenapi. Tra guerre spesso perdute, trattati frode con gli europei e l’immancabile vaiolo, la popolazione dei Veri Uomini verso la fine del XVII° secolo fu notevolmente ridotta e dovette abbandonare tutte le sue terre natie trasferendosi ad est sul fiume Susquehanna in Pennsylvania. Inoltre, sconfitti prima dai susquehannock e definitivamente dai mohawk verso il 1677, i lenapi divennero vassalli della lega degli irochesi che in maniera sprezzante gli diedero nome “Donne”. Fu un’onta mai digerita per i lenni-lenapi che nel 1720 si divisero, con una buona parte che si stabilì ancora più ad est sul fiume Allegheny, seguendo un flusso migratorio attuato anche da altre popolazioni che da punti diversi confluirono nell’Ohio come gli shawnee, i mingoes, i senecas, e i wendat o huron. Tutte questi popoli, stimolati dall’interesse comune di un nuovo inizio, formarono spesso villaggi misti, vivendo assieme pacificamente, aiutandosi e organizzando anche propri consigli decisionali, in barba al controllo irochese che coinvolgeva seppur in maniera diversa tutti loro. Sebbene detestassero gli inglesi,videro con pericolo l’avanzata francese nell’Ohio del 1750 e preferirono offrire la loro alleanza alla corona inglese. Gli stessi lenapi dell’est come dell’ovest rimasero leali all’Inghilterra. Una delegazione capitanata dal capo Shingas nel 1755 si recò da Braddock, mentre il generale inglese stava organizzando la già citata spedizione contro Fort Duquesne, Shingas che rappresentava non solo i dealware ma anche shawnee e mingoes offrì aiuto militare in cambio del riconoscimento, da parte della corona, dei territori acquisiti nell’Ohio. Ma il generale Braddock rispose sprezzante che: “Nessun selvaggio poteva ereditare la terra!”. Shingas replicò che in questo caso non avrebbero combattuto per lui, così il generale aggiunse che non avrebbe avuto bisogno di loro per sconfiggere francesi e alleati.
Offesi i pellerossa si ritirarono dall’assemblea ma non si unirono subito ai Francesi, aspettarono gli eventi. Poi con la sconfitta di Braddock iniziarono gli attacchi feroci alle colonie. I delaware del Susquehanna rimasero neutrali mentre i guerrieri di Shingas, 500 in tutto tra tutte le comunità, terrorizzarono oltre che la Pennsylvania, anche la Virginia e il Maryland. Gli irochesi intimarono più volte alle “donne” di sotterrare l’ascia di guerra ma furono sempre inascoltati e le incursioni continuarono, arrivando anche nello stato di New York, fino al trattato di pace tra delaware e inglesi nel luglio 1759.

Bibliografia: Daniel P. Barr Victory at Kittaning?, in The Pennsylvania Magazine, January 2007; JamesP. Myers, Jr. Gettysburg College, Pennsylvania’s Awakening: the Kittaning Raid of 1756, Pdf; Robert Robinson Narrative, in A Selection of some narratives of outrages committed by the indians by A. Loudon, vol.II°, 1811, pp 161-163; Narrative of Marie Le Roy in The Pennsylvania Magazine, vol. 29, 1905, pp.410-411; V. J. Jones, History of the Juniata valley, Harrisburg 1889, pp.112-122; Hugh Gibson’s Captivity, Collections of the Massachusetts Historical Society, vol.VI°, Boston 1836, pp.143-144; Journal du Marquis de Montcalm durant ses campagnes en Canada de 1756 à 1759, Quebec 1895, I° parte, p.119; http://www.tolatsga.org/ , Delaware History.

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La milizia della Pennsylvania

Nel luglio 1755 la Pennsylvania organizzò la prima milizia provinciale, formata da volontari, divisa in quattro compagnie. Nel novembre 1755 l’assemblea dello stato sostituì le compagnie con un reggimento e nel marzo dell’anno successivo quest’ultimo venne diviso in due battaglioni guidati rispettivamente dal tenente colonnello Conrad Weiser e dal colonnello John Armstrong. Più tardi venne aggiunto un terzo battaglione sotto il comando del colonnello William Clapham. Nell’aprile 1758 questa milizia partecipò alla spedizione contro Fort Duquesne guidata dal generale John Forbes. Nello stesso anno il battaglione di Weiser, avendo perso la maggior parte degli effettivi, venne assorbito dagli altri due battaglioni.
All’epoca molti miliziani combattevano in abiti civili, tuttavia alcuni stati provvedevano a fornire un’uniforme ai propri uomini. Le truppe del Massachussetts portavano giacche blu con risvolti rossi, colori portati anche dalle truppe del New Jersey e Virginia. I miliziani di New York portavano la giacca di colore grigio scuro mente quelli della Pennsylvania avevano la giacca verde con i risvolti rossi.
Bibliografia : “Wolfe’s Army” Osprey, Men-at-arms series, 1974; “Colonial American Troops 1610-1774 (3) Osprey, Men-at-arms, 2002.

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Delaware

Ogni tribù o nazione pellerossa si differenziava dalle altre oltre che per la lingua, per gli usi e i costumi, e in particolare per la foggia dei capelli. Durante la metà del ‘700 gli uomini irochesi, chippewa, abnaki e di molte altre tribù, portavano i capelli lunghi. In guerra invece era molto comune lo scalp-look, cioè l’usanza di rasarsi quasi completamente la testa lasciando un ciuffo più o meno lungo, sulla sommità del capo. I delaware portavano una bassa striscia di capelli che correva da sopra la fronte fino alla nuca, da cui pendevano sulle spalle trecce sottili e lunghe. Inoltre usavano tatuare il corpo e in guerra si dipingevano di rosso, nero e talvolta di giallo, mentre in alto sulla sommità della testa solevano applicare una cresta di peli di cervo dipinti di rosso. Nell’illustrazione Tewea e il compagno vengono raffigurati senza cresta e pitture per sottolineare il fatto che l’attacco americano li colse di sorpresa.
Bibliografia: M.R.Harrington, “The indians of New Jersey: Dickon Among the Lenapes”, Rutges University Press, 1986.

Massimo Predonzani

mail: alemass1959@libero.it