Bartolomeo Coglioni storia e araldica

Capitolo tratto dal mio libro “Caravaggio 1448” Acies Edizioni

http://www.aciesedizioni.it/Libri/caravaggio1448-ita.htm

E’ stato sicuramente uno dei più famosi condottieri italiano del ‘400. Viene sempre citato dagli storici moderni con il cognome Colleoni, ma nei documenti del XV secolo che si riferiscono a lui o alla sua famiglia appare come Coglioni. Il letterato Antonio Cornazzano, che dimorò presso la corte di Bartolomeo a Malpaga e ne scrisse la biografia in latino, lo chiama Bartholomeus Coleus cioè testicolo. La stessa forma venne usata da Guglielmo Pagello nell’orazione funebre alla morte del condottiero. Un documento del 1423 cita il padre Paolo detto Poy come de Colionibus e lo stesso Bartolomeo si firmava De Colionibus. Ancora, in un documento dell’Archivio Storico di Brescia, delle Provvisioni in data 30 agosto 1438, appare come Coijoni e anche nel quattrocentesco Stemmario Trivulziano, lo stemma gentilizio della famiglia, raffigurante i tre testicoli, porte la didascalia De Collionibus.

In questo libro abbiamo pensato di citare Bartolomeo sempre con il cognome originario per attenerci alle fonti storiche.

Il Coglioni nacque verso il 1400 a Solza presso Bergamo, da Paolo e Riccadonna dei Valvassori di Medolago.

Il padre riuscì nel 1404 a entrare in possesso del castello di Trezzo, raggiungendo una certa notorietà e importanza, ma fu una gloria di breve durata. Coinvolto nelle lotte tra guelfi e ghibellini, Paolo venne ucciso, il castello perduto e la moglie morì in prigione.

Bartolomeo, rimasto orfano, trascorse la giovinezza a Solza fin quando, a quindici anni, iniziò il mestiere delle armi alla corte piacentina di Filippo Arcelli. Poi passò alle dipendenze di Braccio da Montone, come valletto e successivamente presso Iacopo Caldora che serviva la regina Giovanna II di Napoli. Per alcuni cronisti ci fu una relazione tra il Coglioni e la regina che, secondo il biografo Bellotti, donò l’impresa delle teste di leone al futuro condottiero.

Con il Caldora egli comandò una condotta di venti cavalli e partecipò alla famosa battaglia dell’Aquila del 1424 nella quale fu sconfitto e ucciso Braccio da Montone.

Passò poi al servizio di Firenze e fu fatto prigioniero dal Piccinino alla battaglia del Serchio presso Lucca. Nel 1431 venne ingaggiato dai veneziani sotto il Carmagnola con una compagnia di 40 cavalli. Prese parte alle campagne della Valtellina e della Valcamonica negli anni 1432 e 1433 e nello stesso periodo sposò Tisbe, della famiglia bresciana dei Martinengo.

Nel 1434 aumentò ancora il numero dei suoi soldati arrivando a 63 cavalli e nel 1437 si distinse nella ritirata che Gianfrancesco Gonzaga, capitano generale della Serenissima, dovette operare attraverso il fiume Oglio. Sembra che in quel frangente comandasse 300 lance.

Partecipò poi alla difesa di Bergamo e a quella di Brescia. Il Sanudo nel suo elenco delle forze di cavalleria degli eserciti italiani del 1439 attribuisce al Coglioni 400 cavalli.

Nell’aprile 1441 gli viene assegnata da parte della Serenissima una condotta di 800 cavalli e 200 fanti, ma con la pace di Cavinara dell’autunno 1441 Venezia ridusse drasticamente il numero delle truppe e la relativa paga. L’anno successivo il Coglioni dichiarò che non avrebbe rinnovato il contrato con Venezia e passò con la compagnia al servizio di Milano. Il duca Filippo Maria Visconti gli donò 1.500 cavalli ed il castello di Adorno come sua residenza. Tra le azioni da lui intraprese per il duca, sono da ricordare la spedizione nelle Marche nel 1443 e quella a Bologna nel 1445.

Nel 1446 però, durante la spedizione contro Cremona, entrò in forte attrito con Francesco Piccinino e questa contesa lo portò ad essere arrestato nel settembre dello stesso anno con l’accusa di tramare con Venezia. Bartolomeo venne condotto nelle prigioni dei Forni a Monza dove rimarrà per quasi un anno.

Dopo la morte del duca Visconti poté fuggire e poco dopo, grazie all’intercessione di Francesco Sforza, venne assoldato dalla repubblica Ambrosiana e con la sua compagnia fu inviato a bloccare l’avanzata del duca d’Orléans su Asti. L’11 ottobre 1447 il Coglioni sconfiggerà i francesi guidati da Rinaldo di Dresnay a Bosco Marengo presso Alessandria, sarà la sua vittoria più famosa.

Riconquista Tortona per i milanesi ma poi improvvisamente li abbandona per mettersi al soldo dei veneziani. Il 15 settembre 1448 partecipa alla battaglia di Caravaggio e sarà tra i pochi condottieri veneziani a salvarsi dalla disfatta. Storici e cronisti non saranno concordi sul suo operato in quel fatto d’arme, per alcuni si comporterà coraggiosamente, per altri da vile.

L’anno dopo parteciperà all’attacco veneziano contro Milano sotto il comando di Sigismondo Malatesta e Francesco Sforza che desiderava il ducato di quella città. Poi ottenne le vittorie di Romagnano Sesia contro i savoiardi e di Borgomanero contro i francesi, entrambi alleati della repubblica Ambrosiana.

Nel febbraio 1450 una rivolta a Milano favorì la conquista del potere da parte dello Sforza e la pace nel nord Italia per due anni.

L’anno seguente Venezia licenziò il Malatesta e dovendo eleggere un nuovo comandante generale la scelta si ridusse ad uno tra Iacopo Piccinino, Gentile da Leonessa e lo stesso Coglioni. Il senato veneziano infine scelse Gentile, probabilmente per la fedeltà di più lunga durata dimostrata da lui e delle sue truppe alla repubblica. Molto deluso dalla scelta Bartolomeo meditò di andarsene ma il senato, avvisato di questa intenzione, mandò le compagnie del Piccinino e del Leonessa ad arrestarlo. Il Coglioni riuscì comunque a fuggire passando al soldo di Francesco Sforza con 600 lance e 600 fanti.

Con la guerra del 1452 Bartolomeo riconquistò per il duca Sforza molti luoghi nel Monferrato, nel bergamasco e in Valsassina, non preoccupandosi del fatto che Venezia l’aveva dichiarato ribelle e trattenuto la moglie e la famiglia come ostaggi.

La Serenissima liberò la moglie e i famigliari e negoziò col condottiero affinché i rapporti tornassero buoni. Così nel febbraio 1454 Bartolomeo si congedò dallo Sforza e in marzo ebbe un’altra condotta con la repubblica di Venezia e la promessa del titolo di capitano generale appena Iacopo Piccinino (che era subentrato nella carica dopo la morte del Leonessa) per qualsiasi motivo si fosse fatto da parte.

Nell’aprile 1454 fu firmata la pace di Lodi. Il 14 agosto 1454 furono concessi a Bartolomeo le località di Martinengo, Cologno e Urgano e il 24 giugno 1455 ebbe finalmente il comando di tutto l’esercito veneziano.

Nel 1456 il condottiero acquistò il castello di Malpaga nel territorio di Bergamo che divenne il centro del suo piccolo stato.

Giunto all’apice della sua carriera militare, il Coglioni si troverà però a servire una repubblica che mirava ad una lunga e duratura pace e, tra le poche occasioni che avrà di combattere, è da menzionare la campagna del 1467 culminata nella battaglia di Molinella, conclusa per altro con esito incerto.

Bartolomeo Coglioni detto Colleoni morirà nella sua reggia di Malpaga il 2 novembre 14751.

1 Bibli.: B. Belotti, La vita di Bartolomeo Colleoni, Bergamo 1923; C. Rendina, I capitani di ventura, Newton e Compton ed. 1999, pp. 189-197; P. Spino, Historia della vita et fatti dell’eccellentissimo capitano di guerra Bartolomeo Coglione, Bergamo 1732; A. Cornazzano, Vita di Bartolomeo Colleoni, Roma 1990; M. E. Mallet, Dizionario Biografico degli Italiani, Colleoni Bartolomeo, Vol. 27, 1982; P. Giovio, Elogi degli uomini illustri, in Opera, VII Roma 1972, pp. 340 s.

L’araldica Coglioni

L’arma gentilizia della famiglia Coglioni di Bergamo era araldicamente: troncato di rosso e d’argento, a tre paia di testicoli, posti due e uno, dell’uno nell’altro1 (vedi tavola) raffigurante il caporale coglionesco).

A questo riguardo Bartolo Belotti, autore del libro La vita di Bartolomeo Colleoni, cita un atto notarile del giugno 1454, conservato all’Archivio Notarile di Bergamo, nel quale il Coglioni concedeva il suo stemma e quello della sua gente a Cristoforo Urtica di Clusone: insignas nostras et parentelae nostrae, videlicet duos colionos albos in campo rubeo de supra et unum colionum rubeum in campo albo infra ipsum campum rubeum2. Sottolineando così che lo stemma del triplice segno non era personale del condottiero, come erroneamente lo attribuivano alcuni storici del XX° secolo, ma l’arme di famiglia.

Poco più avanti, sempre nelle stesse pagine citate nella nota, il Belotti menziona l’impresa delle teste di leone donatagli, o da lui adottata dopo il servizio sotto la regina Giovanna II d’Angiò. Dagli affreschi e dai bassorilievi visibili nel castello di Malpaga quest’impresa doveva presentarsi così: di rosso, alla banda di rosso bordata d’argento ed ingollata in capo e in punta da due teste di leone.

Questi finora descritti erano lo stemma e l’impresa del Coglioni, portati sulle insegne e giornee delle sue truppe all’epoca della battaglia di Caravaggio. Anni dopo, grazie alle sue imprese militari ricevette dai duchi d’Angiò e di Borgogna il privilegio di inserire sul suo stemma le loro armi, unendole al triplice segno.

1 G. Rocculi, Lo stemma di Bartolomeo Colleoni, in “Socità Italiana di Studi Araldici”, 22 (2009), pp. 156-157.

2 B. Belotti, La vita di Bartolomeo Colleoni, Bergamo 1923, pp. 37-40;

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