Articolo apparso su “Soldatini” numero 82 del Maggio Giugno 2010
Il 2 giugno 1442 con l’entrata vittoriosa di Alfonso V d’Aragona a Napoli si decise una ventennale guerra tra angioini e aragonesi per la conquista del mezzogiorno d’Italia, dopo la quale il re aragonese in pochi mesi porterà a termine la conquista totale del Regno partenopeo unendolo così all’Aragona e agli altri suoi possedimenti come la Sicilia, la Sardegna e la Corsica.
In seguito la sua attenzione si rivolgerà a settentrione in quanto egli ambiva ad allargare l’influenza politica e militare del regno di Napoli al centro e nord Italia. Tra le tante spedizioni belliche intraprese va ricordato il suo attacco alla Toscana del 1447 che si risolse con il fallito assedio di Piombino nel settembre 1448.
Di questa campagna ne hanno parlato i cronisti : Neri Capponi nei “Commentari”, Scipione Ammirato nelle “Istorie fiorentine” e Gaspare Broglio nella “Cronaca malatestiana del sec. XV”.
Secondo il Capponi e l’Ammirato il re Alfonso aveva con se 7000 cavalli e 4000 fanti più un seguito di genti che portava il totale dell’esercito a 15000 uomini e sotto il comando di valenti capitani tra i quali Pedro di Cardona, Inigo Guevara e Simonetto da Catel di Piero.
Dall’altra parte l’esercito fiorentino contava 5000 cavalli, 2000 fanti e circa 1000 guastatori o saccomanni, comandati dai condottieri Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta, che da poco aveva abbandonato il servizio del re Alfonso, assieme ai commissari fiorentini Bernadetto de’ Medici e Neri Capponi, lo stesso dei Commentari citati.
Dapprima gli aragonesi cercarono di entrare in Toscana dalla via di Cortona e poi da quella di Volterra ma entrambe le volte furono ributtati. Allora si diressero verso Campiglia e da lì a Piombino che era tenuta da Rinaldo Orsini e la misero sotto assedio, non solo da terra ma anche per mare con la loro flotta. Ma causa la malsanità dei luoghi, la poca acqua e specialmente, come ricorda il Broglia, l’arrivo dei soccorsi fiorentini capitanati dal Malatesta, dopo alcuni mesi l’esercito di Alfonso fu quasi rotto e lasciati sul campo chi dice 1000 chi dice 2000 uomini, levò l’assedio e si ritirò verso Siena.
Sull’assedio di Piombino esiste un poemetto pubblicato da Ludovico Muratori nel volume XIV° del Rerum Italicarum Scriptores dal titolo “Istoria dell’assedio di Piombino” ma molto interessante è l’altro poema l’”Hesperis” opera in latino di Basinio da Parma e illustrata da Giovanni Bettini da Fano. L’Hespeis narra le vicende belliche condotte da Sigismondo Malatesta al soldo dei fiorentini tra il 1448 e il 1453 soprattutto contro Alfonso d’Aragona e viene datato per l’esecuzione attorno al 1462-1464. Molte illustrazioni o forse meglio chiamarle miniature raffigurano proprio i combattimenti trattati in questo articolo e sono molto interessanti perché danno una chiara visione del modo di combattere in Italia nella metà del 1400 in special modo per la fanteria.
Questa fanteria, sempre mercenaria come la cavalleria, aveva gli effettivi suddivisi in tre categorie con percentuali solitamente uguali che erano : lance lunghe, palvesari e balestrieri. Nei contratti stipulati tra i X di Balìa della repubblica di Firenze con le numerevoli condotte di fanteria del periodo appare spesso questa suddivisione in tre parti uguali. La funzione dei fanti era soprattutto difensiva, come ricorda Michael Mallett in “Signori e mercenari”, in battaglia gli armati di lancia assieme ai palvesari formavano una specie di muro dietro il quale la cavalleria si raggruppava e riordinava. Un’altro importante compito era la difesa o all’opposto l’assedio e l’assalto dei luoghi fortificati.
Nelle miniature dell’Hesperis queste funzioni sono ben rappresentate ma cosa rilevante sono raffigurati i combattimenti tra le fanterie, da tali raffigurazioni ho tratto il disegno della battaglia. I fanti armati di lancia lunga o picca, della lunghezza di circa tre metri sono più numerosi delle altre unità di soldati e nel combattimento sono in prima fila ad affrontare i picchieri nemici. A prima vista sembra di assistere ad uno scontro tra picchieri svizzeri, a quel tempo già affermati grazie alle loro vittorie di Morgarten e Sempach contro gli austriaci, avvenute nel secolo precedente, ma solo a prima vista perché in realtà queste formazioni non hanno niente a che vedere con gli schieramenti compatti della falange elvetica. Dietro alle lance lunghe e tra di loro si vedono agire come supporto alcuni palvesari armati di lancia e vari fanti provvisti di scudo piccolo e armati da uno o spesso due giavellotti. Questi soldati detti “lanciotti” nelle miniature si vedono avanzare, correre, abbassarsi, spesso sono ritratti davanti agli schieramenti mentre, protetti dal piccolo scudo stanno per lanciare il giavellotto e ricordano molto per la tattica e l’armamento i velites delle legioni romane. Dietro a tutti e talvolta anche mescolati ci sono i balestrieri, gli schioppettieri e anche qualche arciere mentre caricano l’arma o cercano di colpire l’avversario. Purtroppo in tutte queste miniature sono completamente assenti le armi in asta come ronconi o spiedi da guerra ecc. spesso usati dalle fanterie italiane come testimoniano le tante iconografie del periodo.
Come dicevo prima, queste fanterie non combattono in una formazione serrata e disciplinata, tutte le unità sono mescolate tra loro in modo eterogeneo. Solamente i picchieri formano una specie di prima linea di difesa contro il nemico, tutti gli altri lanciotti, palvesari, tiratori e ancora altri picchieri si accalcano dietro, cercando di aiutare il compagno o colpire l’avversario apparentemente senza una strategia prestabilita ma in realtà ognuno con la funzione specifica della propria arma.
Nella mia illustrazione della battaglia i fanti sulla sinistra appartengono a Sigismondo e portano le calze con i colori bianco rosso e verde della divisa dei Malatesta, colori che si ripetono sul palvese dietro ai picchieri e sulle giornee e sui pennacchi dei cavalieri. Sopra tutti la bandiera con l’elefante impresa della famiglia Malatesta simbolo di forza e che allude alla loro presunta discendenza da Scipione l’Africano.
Dall’altra parte le truppe aragonesi con sugli scudi l’arme d’Aragona d’oro e di rosso e con le calze divisate di vari colori rosso, bianco, azzurro e verde come si vedono nelle miniature dell’Hesperis, lo stesso per i pennacchi dei cavalieri. In alto la bandiera con l’impresa del re Alfonso V°.
La stessa bandiera campeggia la tavola degli stendardi, raffigura il libro aperto dalla parte del dorso, emblema particolarmente caro ad Alfonso che simboleggia la sapienza. A seguire due banderuole da padiglione di Sigismondo Malatesta che araldicamente vengono descritte : per la prima “partito : nel 1° troncato increspato di verde e di rosso; nel 2° d’argento alla S di rosso intersecata da una I di verde” . Nella seconda “partito : nel 1° d’argento alla rosa rossa quadripetala e fogliata di verde; nel 2° troncato increspato di rosso e di verde”. Il monogramma S e I era un’ emblema personale di Sigismondo ufficialmente riconosciuto come le iniziali del suo nome, oppure secondo altre fonti il connubio tra i nomi Sigismondo e Isotta degli Atti terza moglie del Malatesta.
La rosa rossa invece era una delle imprese più care alla famiglia Malatesta.
Attualmente sono rimaste a noi tre copie dell’Hsperis di Basinio, una conservata alla biblioteca dell’Arsenal di Parigi, la seconda alla Bodleian Library di Oxford e l’ultima alla biblioteca Vaticana di Roma.
bellissimo post, grazie. se stato alla Vaticana a vedere una delle copie o esistono altre versioni piu accessibili?
luca
Ciao Luca
Intanto complimenti per il Tuo blog.
Io posseggo le riproduzioni dell’Hsperis della Biblioteca Vaticana e quelle della Bodleian Library di Oxford. Quelle di Oxford sono le migliori.
Avevi bisogno di qualche copia?
Mass. P.
Sarebbe possibile avere le riproduzioni del manoscritto vaticano? posseggo già quelle di oxford e parigi. è per il mio progetto di dottorato 😀
Gentile signora Morosini
Dovrebbe richiedere le immagini direttamente alla Vaticana. Io,causa la mancanza di correttezza della maggior parte delle persone che mi hanno contattato, non do più iconografie a persone che non conosco. Mi dispiace. M. Predonzani.