Due insegne simili nella battaglia di Fornovo

Pubblico due capitoli dal mio ultimo libro (scritto assieme all’amico Vincenzo Alberici) sulla battaglia di Fornovo. Trattano dell’impresa del sole portata sulle insegne da due capitani italiani nella battaglia del Taro. Erano due imprese simili ma non uguali, che però viste da lontano, potevano confondere chi le vedeva, come in realtà successe. I due capitani militavano in fronti opposti ed erano Francesco Gonzaga e Gian Giacomo Trivulzio.

 

L’insegna di Gian Giacomo Trivulzio

Il palato di sei pezzi d’oro e di verde era lo stemma della famiglia milanese dei Trivulzio. Ai solenni funerali di Gian Giacomo Trivulzio il 17 gennaio 1519 venne esibito il suo stendardo provvisto da tre liste gialle e tre verdi, come ricorda lo storico Cesare Cantù1.

Tuttavia l’impresa più conosciuta, portata anche da tutta la famiglia, era il Jesus. Questa era composta da una croce patente in un cerchio che emetteva otto raggi ondati dando la forma di un sole. Quest’ultimo era rosso mentre il campo era bianco. Nel 1409 il Papa Alessandro III concesse al condottiero Ambrogio Trivulzio di portare quest’emblema sui suoi stendardi e da quel momento la famiglia Trivulzio l’adottò e l’applicò un po’ dovunque2.

Lo stendardo con il Jesus, detto anche Ruota del sole, esibito da Gian Giacomo alla battaglia di Fornovo e ricordato nella cronaca francese di De Commynes3, aveva forma quadrata con il fondo bianco con al centro l’impresa della ruota del sole di colore rosso ed era il vessillo da battaglia del condottiero. (vedi fig.1)

fig.1

Una medaglia commemorativa del Trivulzio, eseguita da Ambrogio Cristoforo Foppa nel 1499 per la sua nomina a maresciallo di Francia, mostra la ruota del sole assieme allo stemma di famiglia, al biscione degli Sforza e all’impresa dei secchi 4. (Vedi fig.2 )

fig.2

Anche lo storico Paolo Giovio menziona un’impresa del Trivulzio portata subito dopo aver lasciato il servizio sotto Milano. Nel 1487 il condottiero si era accorto che le mire di Ludovico il Moro erano dirette a togliere il ducato di Milano al nipote Gian Galeazzo Sforza, perciò sdegnato, abbandonò la Lombardia e si accostò al re d’Aragona il quale per lo stesso motivo era divenuto nemico dello Sforza. L’impresa raffigurava un quadretto di marmo con uno stiletto di ferro piantato in mezzo, il tutto opposto al sole che, come abbiamo visto, era l’antica impresa Trivulzio. La rappresentazione era accompagnata dal motto: Non cedit umbra Soli : L’ombra non cede al sole, che voleva intendere: il sole, girando, non impedisce allo stile di proiettare la sua ombra, cioè il Trivulzio non era disposto a cedere di un solo punto alla prepotenza di Ludovico5.

fig.3

Una bellissima raffigurazione della Ruota del sole la troviamo dipinta su una rotella milanese catturata dagli svizzeri nella battaglia di Giornico nel 1478. (vedi fig. 3) Si vede una giovane coppia in piedi che sostiene uno scudo bianco con il Jesus rosso nel mezzo. Il giovane indossa una giornea verde, un farsetto rosso e le calze di tre colori: rosso, bianco e nero. Quest’ultimo colore è virato a causa il tempo, essendo in origine azzurro. Rosso, bianco e azzurro erano i colori della livrea degli Sforza. La ragazza dai capelli sciolti e biondi indossa un abito azzurro guarnito di rosso. L’azzurro era il colore portato dalle giovani da marito. Questa rotella si trova al Museo Storico di Luzern e assieme a molte altre fa parte del bottino che gli svizzeri fecero sconfiggendo l’esercito milanese del duca Galeazzo Maria Sforza a Giornico. Il Trivulzio, che dal 1465 militava per gli Sforza, non partecipò a questa battaglia ma probabilmente la rotella con questo emblema, apparteneva a qualche sua compagnia di fanteria. Ancora nel museo di Luzern si trova un’altra rotella presa dagli svizzeri a Giornico e probabilmente appartenuta pure questa a fanti del Trivulzio. Infatti il dipinto rappresenta un fante armato di lancia e spada con uno scudo rotondo decorato da un inquartato araldico con al I° e IV° quarto una T maiuscola nera in campo bianco e al II° e III° quarto un ondato in fascia di bianco e nero (originariamente azzurro). L’ondato in fascia era un’impresa degli Sforza mentre la T maiuscola era un’altra impresa dei Trivulzio6. Abbiamo citato questa rotella perché il fante raffigurato porta sulle gambe delle calze completamente rosse, forse il colore della divisa del Trivulzio, della quale finora non abbiamo trovato notizia7.

1C. Cantù, Schiarimenti e note alla Storia Uuniversale, vol.V, Torino 1842, pp. 366-369.

2G. Cambin, Le rotelle milanesi, Giornico 1478, Società Svizzera di Araldica, 1978, pp. 294-296.

3P. De Commynes, Mémoires, tome second, Paris 1843, p. 490.

4Impresa dei secchi probabilmente acquisita da Gian Giacomo durante la sua militanza sotto gli Sforza.

5P. Giovio, Dialogo delle imprese militari e amorose, Bulzoni 1978, pp. 87-88.

6Altre imprese della famiglia Trivulzio erano: le tre teste, il fascio di spighe, l’albero di rovere coronato.

7G. Cambin, Le rotelle milanesi, Giornico 1478, Società Svizzera di Araldica, 1978, pp. 294-296 e 288-290.

La divisa di Francesco II Gonzaga marchese di Mantova

Lo stemma della famiglia Gonzaga era in gergo araldico: d’argento alla croce patente di rosso, accantonata da quattro aquile di nero; su tutto uno scudetto inquartato: nel I° e nel IV° di rosso al leone d’argento con coda bipartita, nel II° e nel III° fasciato d’oro e di nero. Il fasciato era l’arme originaria della famiglia, mentre la croce patente e il leone erano delle concessioni date (nel 1403 e nel 1433) ai Gonzaga dagli imperatori Venceslao e Sigismondo di Boemia (vedi fig. 4).

fig.4

All’epoca era raro vedere lo stemma tra le insegne degli eserciti, erano molto più usate le “divise” e le imprese. Infatti dalle iconografie e dai documenti si evince che a Fornovo Francesco Gonzaga portò la “divisa” rosso e verde e come insegna l’impresa del Sole radiato.

Per quasi tutto il 1400 i colori portati dalla casa Gonzaga erano il rosso, il verde e il bianco mentre le imprese, per lo più portate dai singoli esponenti, erano numerose: le Ali, la Cervetta, il Cane, il Sole, la Museruola, il Crogiolo ecc.

L’impresa più famosa di Francesco II era il Crogiolo o Cimento, usata però dal marchese dopo la battaglia del Taro. A questo proposito, Paolo Giovio spiega che Francesco essendo stato accusato di tiepidezza nello scontro, non riuscendo, “o non volendo” secondo il testo , ottenere la vittoria completa sui francesi, volle dichiarare la sua lealtà a Venezia assumendo l’impresa di un crogiolo pieno di verghe d’oro messo sul fuoco. Il tutto accompagnato dal motto: Probasti me domine et cognovisti, mi hai provato signore e mi hai conosciuto1. Da documenti gonzagheschi del 1509 sappiamo che quest’impresa venne portata dai cavalieri del marchese sulle gualdrappe, giubbe e celate di colore verde e cremisi, questi infatti erano i colori della sua divisa 2.

L’impresa finora più accreditata dagli studiosi, come quella portata a Fornovo dal comandante della Lega è quella della Musarola, emblema assunto da Francesco già in età giovanile3. La prova è una lettera inviata dal comandante al suo tesoriere in data 28 giugno 1495, otto giorni prima della battaglia che dice: “Volemo che subito ni ne mandi la nostra sopraveste, zornea et scamni che tu sai, et le calze et scarpe per li nostri ragazzi. Ancora mandane la zornea de Andrea Costa, quale rimase ne le mane del ricamatore, per farli suso le nostre arme, cioè le muserole” “Vogliamo che mi mandi subito la nostra sopravveste, e sedili che tu sai, e le calze e le scarpe per i nostri ragazzi. Ancora mandami la sopravveste di Andrea Costa, la quale rimase al ricamatore, per fargli sopra le nostre armi, cioè le muserole”4.

Tuttavia sorgono molti dubbi che questo emblema sia stato usato a Fornovo. Intanto non è certo che il ricamatore l’abbia finito in tempo e che la giornea sia arrivata prima dello scontro. Poi non è nemmeno certo che sia stata indossata proprio quella, Francesco possedeva anche altre imprese come il mirto, il guanto e le ali5.

Inoltre il Gonzaga nei giorni precedenti la battaglia, era stato informato che il re di Francia era intenzionato a farlo uccidere. Un certo Bernardino da Brescia soldato di Paris di Lodron capitano di fanti per la Lega, si era introdotto il 19 giugno nel campo francese a San Miniato presso Firenze, per assumere informazioni. Qui un capitano francese della guardia, credendolo amico, gli aveva detto che il re voleva far uccidere il marchese nel fatto d’arme e di proposito aveva incaricato un uomo chiamato “el Spirito” che se ne occupasse. Inoltre aveva fatto chiamare il signor Francesco Secco6 per aver informazioni per poter identificare il Gonzaga. Questo riferì il Bernardino in una lettera datata 29 giugno e conservata all’Archivio di Mantova7.

Per questa ragione forse il Gonzaga non aveva interesse a farsi ben riconoscere e probabilmente avrà indossato la corta veste (senza imprese) che si vede nel quadro di Andrea Mantegna “La Madonna della Vittoria” (vedi Fig.5). Quest’opera fu commissionata da Francesco al pittore padovano poco dopo la battaglia del Taro, come ex voto per la precaria vittoria riportata sui francesi. Egli si è fatto raffigurare in ginocchio ai piedi della madonna, in armatura da guerra con sopra una veste a liste verdi e rosse, damascata in oro e argento. Ricordiamo che il verde e il rosso erano i colori della sua divisa. Sull’abito non si vedono emblemi, come se fosse un semplice cavaliere della sua guardia. Molto interessante è la banda a tracolla di colore bianco caricata da piccole croci rosse, queste erano il simbolo di riconoscimento per i soldati della Lega che si contrapponeva alla croce bianca dei francesi8.

fig.5

Nessuna cronaca dell’epoca descrive l’insegna di Francesco, ma un chiaro e preciso accenno lo troviamo nella cronaca francese di De Commynes. Egli racconta che il giorno dopo la battaglia si trovava con il re e una parte dell’esercito, in ritirata verso Borgo San Donino(Fidenza) e dopo una faticosa marcia, incontrarono la loro avanguardia che non riconobbero subito perché pensarono con timore fossero i nemici. Questo perché vedendo l’insegna bianca e quadrata di Gian Giacomo Trivulzio, che comandava l’avanguardia francese, la confusero con quella che portò in battaglia il marchese di Mantova, in quanto le due bandiere si assomigliavano9. Il De Commynes non dice l’emblema dell’insegna, riporta solamente il colore del campo. Ma può bastare perché l’emblema più famoso ed usato dal Trivulzio era lo Jesus che era composto da una croce patente iscritta in un cerchio a foggia di sole con otto raggi ondati, il tutto di rosso in campo bianco10 (vedi fig.1). Una medaglia del 1499 che commemora la sua nomina a Maresciallo di Francia mostra quest’impresa assieme allo stemma Trivulzio, quello della signoria di Milano e l’impresa dei secchi.Vedi fig. 2.

Unica impresa Gonzaga simile a questa è l’impresa del Sole radiato, portata da Ludovico I e Gianfrancesco I Gonzaga e anche da Ludovico II nonno di Francesco. L’impresa venne usata anche dallo stesso Francesco e dal figlio Federico II. Sulle pitture murarie questo sole è spesso dipinto di colore rosso su fondo bianco, ma anche di colore giallo su fondo bianco o azzurro (vedi fig.6). Ecco perciò che le due insegne erano molto simili nel campo bianco e nell’immagine del sole rosso. La differenza dei due soli stava nei raggi, che nell’impresa Gonzaga erano diritti, mentre in quella del Trivulzio ondati con al centro la croce patente. Due emblemi che da lontano ben potevano essere confusi.

fig.6

Un’altra prova che l’impresa del sole venne usata a Fornovo la troviamo nell’incisione coeva sulla battaglia di Fornovo conservata alla National Galley of Art di Washington. L’opera di mano francese è di poco posteriore al fatto storico della battaglia ed è molto precisa nella descrizione delle armi, abbigliamenti, insegne ecc. Riguardo i francesi si vedono i gigli di Francia e la croce bianca portata su abiti e bandiere, invece tra gli emblemi della Lega troviamo il leone di Venezia sugli stendardi e il biscione degli Sforza e il sole dei Gonzaga sugli scudi e sulle bardature. Nell’incisione questo sole ha i raggi a onde e non diritti come nell’impresa Gonzaga, questo perché probabilmente il disegnatore francese non conosceva esattamente l’emblema dei signori di Mantova.

Ultimo riscontro, anche se molto posteriore, della bandiera Gonzaga lo vediamo nel dipinto di Jacopo Tintoretto sulla Battaglia del Taro del 1574 circa. Anche qui tra i cavalieri italiani intenti ad attaccare il nemico, appare la bandiera bianca con il sole di colore giallo-arancio.

1P. Giovio, Dialogo delle imprese militari e amorose, Bulzoni 1978, p. 87.

2Archivio di Stato di Mantova, AG, b 2416, libro 205, c. 58r.

3 A. Cicinelli, La battaglia del Taro, Casa del Mantegna, Mantova, Ed. Bottazzi, 1996 p. 55; G. Malacarne, I Gonzaga di Mantova, II volume, I Gonzaga marchesi, Il sogno del potere, Il Bulino, 2005, p. 260.

4Archivio di Stato di Mantova, AG, b 2961, libro 4, c. 16v.

5 Tre imprese citate in una lettera del 1493, Archivio di Stato di Mantova, AG, b. 2443, c. 130r ; R. Signorini, Aenigmata “Disegni d’arme e d’amore” in Monete e medaglie di Mantova e dei Gonzaga dal XII al XIX secolo, vol.II, Electa 1996, p. 44.

6Nobile mantovano avverso al marchese di Mantova e alleato ai francesi.

7 Archivio di Stato di Mantova, AG, b. 2191, 1495 die 28 Junii.. “Relatione facta per Bernardino da Brescia

8Madonna della Vittoria, Paris Louvre, trasferita in Francia col bottino napoleonico nel 1797.

9P. De Commynes, Mémoires, tome second, Paris 1843, p. 490.

10G. Cambin, Le rotelle milanesi, Giornico 1478, Società Svizzera di Araldica, 1978, pp. 294-299; C. Rosmini Roveretana, Dell’Istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian-Jacopo Trivulzio, volume II, Milano 1815, pp. 355-359, 364, 367-368, 375,378, 380.

 

  1. Buongiorno.
    con riferimento allo Jesus risulta che fu papa Alessandro V e non Alessandro III a conferire nel 1409 l’insegna al Trivulzio.
    Con riferimento alla nota 6 dei Trivulzio, l’impresa della rovere non è una impresa dei trivulzio ma si riferisce alla prima moglie di Gian Giacomo II (+1577): Ippolita della Rovere, sorella di Guidobaldo della Rovere duca d’Urbino (rif. ASc&BT/Trivulziano 2168, f. 45r e 45v).
    Il Litta riporta che “le nozze non avrebbero però effetto, esssendosi, così si crede la giovane fatta monaca”. Ippolità è nata a Urbino nel 1525 e deceduta a Napoli nel 1561 all’età di anni 36. Nel 1541, all’età di anni 16 si sposa con Antonio d’Aragona duca di Montalto che muore a Napoli il 6 ottobre 1543, all’età di anni 37 lasciando tre figli infanti: Pietro (1542-1544), Antonio (1543-1583) duca di Montalto e Isabella, molto probabilmente nata dopo la morte del padre e deceduta il 31-08-1578. È pertanto difficile ritenere che Ippolita abbia abbandonato i figli di pochi anni e si sia fatta monaca! Ippolita è convolata a nuove nozze con Gian Giacomo II conte di Maleo perché un documento del dicembre 1556 attesta che “la dote è stata interamente pagata” (atto in data 08.12.1556 in Pesaro/Biblioteca Oliveriana/Archivio Albani/1-05-070), cosa che avvveniva anche anni dopo il matrimonio e non prima. Inoltre, il matrimonio con Gian Giacomo risulta essere stato fecondo perché il Senato di Milano non concesse la legittimazione di Agostino, figlio naturale ex matrimonio, avendo il Gian Giacomo avuto in precedena un figlio maschio naturale e da legittimo matrimonio e deceduto infante.
    Gian Giacomo si è successivamente risposato con Antonia de Avalos d’Aquino d’Aragona, ma senza figli.

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