Questo articolo firmato dall’amico Luigi Sorrentino è apparso sul numero 66 di Soldatini .
TORACOMACO E SUBARMALIS
Per una storia delle protezioni imbottite nell’esercito romano
“Quando Cesare doveva impadronirsi di qualche posizione, Pompeo, anche se aveva deciso di non opporsi con tutte le sue forze e di non venire a battaglia, mandava tuttavia nei punti che più credeva opportuni arcieri e frombolieri che aveva in gran numero: molti dei nostri venivano feriti e si era diffusa una gran paura delle frecce; infatti quasi tutti i soldati, per ripararsi dai proiettili, si erano confezionati tuniche o altri indumenti protettivi con imbottiture, coperte fatte di vari pezzi cuciti assieme o di cuoio.” (De Bello Civili, III, 44, 6)
Con queste parole, Giulio Cesare descrive, nel suo “De Belo Civili” l’utilizzo che i legionari fanno, dell’imbottita, per limitare i danni di frecce e proiettili da fionda. Posta, come una tunica, sotto o sopra la lorica, doveva servire a proteggere il corpo dall’impatto dei proiettili. Questo documento dà un quadro eccezionale, nella quale i cesariani confezionano sul momento sopravesti protettive con materiale disponibile sul posto. Certo è, che, gli stessi indumenti, fatti allo stesso modo, sono ancora descritti nel “De rebus bellicis” (Le cose della guerra). Scritto da un anonimo nel IV sec. d.C., probabilmente sotto il regno dell’imperatore Costanzo II, la descrizione al § 15 parla del “toracomaco”. L’autore riporta l’oggetto come “invenzione degli antichi” e ne specifica l’uso esclusivo, cioè: “allevia il corpo dal peso e dalla frizione delle armi”. È quindi da tenersi sotto altre protezioni dell’armato. Altri però sono i vantaggi di quest’indumento. Confezionato con lana e vestito o cucito in un involucro di “pelle libica”, doveva essere molto simile ai nostri giubbotti imbottiti a cui venivano sovrapposte le strisce di cuoio delle pertugie ed era ottimo per meglio sopportare le basse temperature oltre che impermeabile all’acqua. Altre fonti parlano di “subarmalis”, in particolare Adrian Goldworthy parla di un documento proveniente da Vindolanda dove viene menzionato questo nome. Poco attendibile, ritengo, la ricostruzione effettuata da I. P. Stephenson che, immagina un legionario tardo imperiale con addosso un usbergo di cuoio lungo fin sotto il ginocchio ma presumendolo di materiale rigido lo allarga a cono verso il basso. Per la mia personale esperienza nel campo della scherma medioevale, ritengo assolutamente inadatto al combattimento un abbigliamento di tale fattura e la tesi dello Stephenson dell’uso di questa protezione per climi piovosi, al fine di non bagnare la lorica, può essere facilmente smentita con il fatto che sarebbe stato molto più semplice indossare il “sagum”, il classico mantello con cappuccio legionario, al limite legato con una cintura in vita, oppure un’incuoiata morbida simile a un lungo cappotto.
Da lungo tempo oramai siamo abituati a dare al legionario romano un aspetto classico tramandatoci dalle iconografie trovate su monumenti o stele funerarie, ma i disegni che riscontriamo sugli archi e le colonne che celebrano eventi straordinari spesso ci mostrano gli eserciti così come potevano sfilare in parata. Chiunque abbia, come il sottoscritto, effettuato il servizio militare, sa benissimo che un conto è la tenuta da campagna (mimetica) o da lavoro, mentre la tenuta di gala viene usata solo nelle occasioni ufficiali. Sulle stele funerarie, invece, i legionari ci appaiono sempre, con le armi e il “cingulum militiate” ma senza elmetto e lorica. Nessuno si sognerebbe di mostrare in questo modo le legioni in battaglia. È abbastanza chiaro che una rappresentazione di questo tipo è allegorica, tende molto di più a evidenziare il legionario in quanto cittadino anche se militare. A dimostrazione di ciò, sulle stele degli ausiliari invece è enfatizzato il lato militare. Sempre completamente armato, l’ausiliario, che non sempre a fine servizio riceve la cittadinanza romana, enfatizza il ruolo di appartenenza all’impero proprio nella sua appartenenza ai corpi armati.
- Tavola 1: rappresenta un legionario di epoca cesariana che sopra la classica lorica hamata veste una pesante e rigida imbottita confezionata per l’occasione. Con un esterno in pelle in modo da essere impermeabile, la stessa, viene cucita a strisce verticali, inizialmente vuote che, una volta completato l’involucro, il quale potrebbe avere una coperta come base interna, come afferma lo stesso Cesare, possono venire riempite di lana grezza pressata in profondità con lunghi bastoncini o ferri. Il gladium sta all’esterno appeso alla solita cintura che lo fa pendere sulla destra, mentre abbiamo preferito rappresentare il cingulum militiae, a cui è fissato il pugio sotto l’imbottita per evidenziare il carattere di protezione d’emergenza della stessa, come evidenzia la fonte. Delle, non troppo, ipotetiche fasce per i piedi si intrecciano fin sotto il ginocchio a fermare le corte bracae legionarie. Anche le fasce avevano una funzione protettiva e non solo contro il freddo. È impensabile credere che gli schinieri, quando portati in battaglia e non in rivista, avessero una certa utilità fissati sulla nuda pelle. Per lanciare più agevolmente il pilum il legionario ha inclinato lo scutum semicilindrico orizzontalmente ma una volta tornato in verticale permetterà al milite di avere un’ottima protezione nelle mischie.
- Tavola 2: mostra un legionario di epoca imperiale equipaggiato come siamo abituati a vederlo rappresentato nella “colonna traiana”. Le sostanziali differenze sono le solite fasce per i piedi e il toracomaco o subarmalis che, a differenza dell’imbottita descritta in tavola 1, è portata sotto e non sopra la lorica, in questo caso segmentata. L’imbottita in oggetto, costruita con materiali e procedure simili alla precedente, ne differisce in questo caso per una consistenza e un peso decisamente inferiori. La sua funzione in questo caso è proprio quella descritta nel “De rebus bellicis” che fa appello, appunto all’invenzione degli antichi: proteggere il milite dalla frizione della corazza e insieme, dalla rigidità del clima. In atteggiamento di riposo, ancora con lo scudo avvolto dalla protezione da viaggio ma senza i classici bagagli, il soldato in questione sorride alla sorte che, dopo una marcia di circa trentacinque di chilometri, lo ha posto insieme alla cavalleria a guardia della costruzione di quel campo fortificato che l’altra metà della legione, i servi e i portatori di mulo (galeati?) stanno approntando.
- Tavola 3: oramai nel quarto secolo, il legionario in questione sta vestendo un toracomaco morbido come descritto nella tavola 2, da tenere sotto l’armatura. In testa porta una specie di colbacco che, secondo l’opinione dell’autore, in base all’osservazione delle statue dei tetrarchi poste all’angolo della basilica di S. Marco a Venezia, potrebbe essere di feltro o altra stoffa pesante e fungere in tal modo oltre che da comodo cappello anche da protezione da tenere sotto l’elmo per attutire i colpi da botta. Anche le caligae sono scomparse sostituite da basse scarpe di cuoio.
- Tavola 4: lo stesso legionario della precedente tavola, in assetto da combattimento. Sopra la subarmalis, indossa un usbergo fornito di un ampio camaglio a ulteriore protezione delle spalle, mentre il colbacco permette di meglio calzare un elmetto, di modello completamente diverso dai precedenti (Monteforfino e imperiale gallico), crestato e bivalve con paraguance e paranuca bordati di pelle e completamente mobili. Lo scudo di forma ellissoidale e quasi piatto è, secondo l’opinione dell’autore di questo testo, più adatto al combattimento in ordine chiuso dello scutum semicilindrico. Il disegno e i colori sono stati interpretati come appartenenti ai Septimani Seniores, Legio Comitatensis, così come descritti nella Notizia dignitatum, principale fonte del periodo. Spatha e lancea hanno preso il posto del gladium e del pilum in quanto più adatti ai nuovi sistemi di combattimento.
Bibliografia dei libri citati:
- Giulio Cesare, “De bello civili”
- Anonimo, “De rebus bellicis”
- I. P. Stephenson, “Roman infantry equipment”
- Adrian Goldworthy Storia completa dell’esercito romano”
Testi di Luigi Sorrentino e tavole di Massimo Predonzani
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