Di Massimo Predonzani e Luigi Sorrentino
La tattica militare della fanteria svizzera del XVI secolo è ben descritta da Mario Troso nel libro La battaglia dell’Ariotta, questa tattica era soprattutto offensiva, strutturata in unità di quadrati molto compatti, formati da fanti e che contavano da 1500 fino a 6000 uomini armati prevalentemente con picche lunghe 5 metri e più.
Queste fanterie iniziarono ad affermarsi in Europa con le guerre burgundiche del 1476-77 e diventarono rapidamente risolutrici negli scontri campali, spodestando la cavalleria pesante dalla carica di regina delle battaglie, titolo che in seguito questo tipo di fanteria mantenne fino al 1600.
Verso la fine del 1400 comparvero sui campi di battaglia anche i lanzichenecchi, fanti tedeschi provenienti per lo più dalla Germania del sud, dal Tirolo, dalla Germania renana e dalle Fiandre. Questi combattenti applicavano la stessa tattica e le stesse armi degli svizzeri, diventando in breve tempo antagonisti di quest’ultimi.
Inizialmente i tedeschi subirono l’abilità di combattimento degli elvetici riportando paurose sconfitte come quelle ricevute nella guerra Sveva del 1499. In seguito però con le guerre d’Italia i lanzi riusciranno a colmare il divario e a contenere la furia svizzera anche se con molta difficoltà, come nella battaglia di Marignano del 1515. Ma, con gli scontri della Bicocca (1522) e di Pavia (1525) l’allievo superò il maestro e seppur aiutati da un buon utilizzo di fanti archibugieri, i lanzichenecchi vinsero questi scontri massacrando gli odiati svizzeri.
Questa rivalità tra le due fanterie continuerà per lungo tempo con alterne vicende, ad esempio a Ceresole nel 1544 sarà la volta dei tedeschi a subire una rovinosa sconfitta.
Sostanzialmente, come già detto, svizzeri e tedeschi combattevano alla stessa maniera facendo avanzare il loro quadrato irto di picche il più rapidamente possibile contro il quadrato avversario. Avvenuto il contatto i fanti combinavano l’effetto perforante della punta delle picche con la spinta provocata dai compagni delle file retrostanti, in un’azione continua atta a far cedere il nemico per poi travolgerlo.
Questa era la tecnica di combattimento basilare di quelle formazioni di picchieri senza tener conto delle azioni dei tiratori, degli alabardieri o portatori di spadoni a due mani che facevano parte dei quadrati.
Fattore molto importante per risolvere lo scontro era l’abilità nel maneggio della picca nella quale svizzeri e lanzi all’epoca non avevano pari. A questo proposito il Troso cita due descrizioni di Max Jähns, storico tedesco della fine dell’ottocento, sull’impugnatura dei lanzichenecchi e degli svizzeri, ecco la prima: I Lanzi tedeschi facevano passare l’asta sopra la spalla destra e con la mano sinistra la bloccavano circa a un metro della sua estremità posteriore mentre la destra con il braccio piegato e rovesciato all’indietro l’afferrava in fondo sul calzo e la bilanciava.
Nella vastissima iconografia riguardante combattimenti di picchieri lanzichenecchi si vedono però impugnature le picche in diversi modi. Tuttavia alcune raffigurazioni sono abbastanza precise o si avvicinano molto alla descrizione del Jähns.
Eccone alcune:
Per finire questa carrellata sui tedeschi ecco una foto del gruppo rievocazione storica rinascimentale Saint Maximilian con impugnatura alla lanzichenecca.
Per gli svizzeri invece Max Jähns dice: A differenza dei Lanzi tedeschi, gli Svizzeri impugnavano le picche senza ripiegare il braccio destro all’indietro, afferrandole all’incirca nel baricentro (spostato all’indietro rispetto alla mezzeria) e tenendole all’altezza dell’anca o della spalla.
Queste, alcune raffigurazioni dei picchieri svizzeri:
Anche Blaise de Monluc, che visse e combatté nel XVI secolo, dà una descrizione di queste impugnature nei suoi Commentaires. Il pezzo si riferisce alla battaglia di Ceresole nella quale Monluc comandava l’avanguardia francese formata da archibugieri. Ad un certo punto dello scontro egli si unisce alla fanteria dei guasconi che stava per scontrarsi coi lanzichenecchi e per incitarli gridò loro: Compagni miei, può darsi che non ci siano qui uomini di guerra che si siano trovati in battaglia. Se noi prendiamo la picca verso la fine e combattiamo con tutta la sua lunghezza, siamo sconfitti; poiché gli Alemanni sono più abili di noi in questa pratica. Ma bisogna impugnare la picca a metà come fanno gli svizzeri, e abbassare la punta per infilzare e passare avanti, e voi verrete a sorprendere i nemici.
Nella figura 10 vediamo un combattimento, alla sinistra gli svizzeri e alla destra i lanzichenecchi con le loro diverse impugnature.
Per finire un bel pezzo sul modo di tener la picca scritto dal mio amico Luigi Sorrentino esperto di scherma medievale e corredato da quattro illustrazioni, due di scherma lanzichenecca di Virgil Solis del 1541 e due di Paul Dolstein del 1500.
Il combattimento è sempre una cosa dinamica. mai statica. La picca è il prolungamento della lancia. Quest’ultima insieme a pugnale e bastone le mie armi preferite in otto anni di scherma medioevale. La prima, rispetto a questa (alla lancia) è però molto meno maneggevole e più ingombrante essendo concepita per un ordine chiuso e perfettamente inutile in un combattimento di mischia o in un duello. La diversità di posizioni nella quale viene imbracciata non deve trarre in inganno. Chi usava la picca, a prescindere dal corpo di appartenenza o dall’origine etnica, non la teneva in un solo modo, anche se è sicuramente vero che l’ingaggio delle prime file mostra una tendenza a mantenere l’arma in un certo modo per gli svizzeri e un altro per i lanzi. Così come la lancia si fa scorrere continuamente fra le mani a seconda delle necessità (guardia, parata, attacco), così la picca. In più, questa deve tener conto dell’ingombro della sua lunghezza che ne limita drasticamente l’uso nel volteggio laterale e del fatto che viene utilizzata esclusivamente in un combattimento tra formazioni chiuse. Le file posteriori è naturale che la tenessero verticale, mentre la sua inclinazione si abbassa naturalmente a riccio fino alla prima fila che imbraccia l’arma orizzontale, anche perché in questo modo i legni proteggono gli uomini dall’eventuale lancio di oggetti sulla formazione stessa (sopratutto se le picche di muovono con movimento ondeggiante destra-sinistra sopra le loro teste e ciò è attestato da fonti classiche – Polibio XVIII, 29-30, 4: … le fitte lance impediscono infatti che le frecce lanciate al di sopra delle prime file cadano sui soldati delle file posteriori … ). In un combattimento tra picchieri al massimo le prime cinque file addivengono a un cozzo vero e proprio.
Il vantaggio di tenere l’arma alla fine (non necessariamente sul cazzuolo …) è che questa viene sfruttata per tutta la sua lunghezza ma rende più deboli tutti i tentativi di parata laterale. Inoltre il cambio di guardia e il conseguente passaggio dalla spalla destra a quella sinistra è molto più facile e comodo nel sistema lanzichenecco che in quello svizzero (nel quale diviene quasi impossibile). Giustamente, nelle foto che sono inserite nell’articolo, ogni tanto si può vedere un picchiere che ha la guardia invertita (sinistra invece che destra).
Avanzando (o indietreggiando) questo è abbastanza naturale, tanto più per quelli che stanno alle estremità degli schieramenti in quanto possono farlo senza dare più di tanto fastidio al compagno accanto, potendo usufruire dello spazio vuoto ai loro lati sgombri. Il combattimento tra due formazioni di picchieri è un gioco in cui le possibilità si limitano quasi esclusivamente sulla fronte. Si può alzare o abbassare la picca ma spostarla lateralmente è quasi impossibile.
In questa figura i picchieri tengono l’asta per l’estremità al fine di sfruttarne al massimo lunghezza, leva e forza di gravità. In quest’altra le braccia stanno più divaricate per mantenere meglio il controllo dell’arma e sfruttare gli spazi bassi e più esposti della formazione.
Da notare che una mano sta sempre all’estremità. Probabilmente è per questo motivo che gli svizzeri privilegiavano una guardia più centrale. Rispetto alla prima, anche se non si può sfruttare l’intera lunghezza dell’asta, si può giocare più facilmente per parare lateralmente e insinuarsi negli spazi con la punta anche se si è costretti ad avanzare a mezzi passi (non a passi di passata) per la difficoltà di coordinare (cosa più facile per i lanzi) il passaggio di guardia e mantenere la formazione il più serrata possibile.
Trieste, 16.11.2011 Dott. Luigi SORRENTINO
CURRICULUM
Nato a Catanzaro ma triestino d’adozione, Luigi Sorrentino si è laureato a pieni voti in storia contemporanea all’Università di Trieste con una tesi di vecchio ordinamento sulla storia dell’ebraismo dal titolo “Aziende familiari e in accomandita di ebrei e greci nella Trieste della prima metà del 1800”. Specializzato in storia economica è però da sempre appassionato di storia militare antica, medioevale e moderna. Assiduo praticante, per oltre un decennio, di arti marziali – judo, karate, full contact e Thai boxe – da otto anni si è dedicato alla pratica e allo studio della scherma medioevale con l’Accademia di studi medioevali Jaufrè Rudel di Gradisca d’Isonzo con la quale ha perseguito i diplomi presso la sezione di armeggio di: bastone bicipite, spada e scudo, spada a una mano e mezza, falcione e boccoliere, lancia e daga. Ha inoltre fatto parte, della squadra di lancio della scure (francisca e danese) con la quale ha vinto un palio e infine da tre anni si dedica al tiro con la balestra d’epoca con la quale ha vinto il secondo palio nel 2010. Da un decennio collabora con la scrittrice fantasy, ma soprattutto amica, Fabiana Redivo, in qualità di consulente sull’ambientazione storica di molti suoi libri. Attualmente ha, insieme a lei, finito di scrivere un libro fantasy a quattro mani di prossima pubblicazione.
Per contatti: luigisorr@gmail.com
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