Articolo pubblicato su “Soldatini” numero 64.
Chi,di noi italiani, non ha mai sentito parlare della disfida di Barletta raccontata da cronisti e scrittori in innumerevoli libri e celebrata dal famoso romanzo del D’Azeglio? Delle gesta epiche dei tredici cavalieri italiani capitanati dal Fieramosca che vinsero altrettanti cavalieri francesi lavando l’arrogante offesa transalpina? In questo articolo tratterò di questo fatto d’armi evidenziando soprattutto gli eventi meno conosciuti di questa disfida e di tante altre accadute in quella guerra chiamata “Guerra per la Capitanata”.
Con il trattato di Granata del novembre 1500, Francia e Spagna si accordano per una simultanea invasione del regno di Napoli e la sua conseguente spartizione. Nel 1501, vinta la poca resistenza aragonese, i due stati occupano tutto il mezzogiorno dividendosi, Calabria e Puglia agli spagnoli e Campania e Abruzzo ai francesi. Ma già nel giugno 1502, a causa contrasti per la definizione dei confini, iniziano le ostilità tra i due stati.
Gonzalo Fernandez de Cordoba detto “el Gran Capitan” comandante dell’esercito spagnolo, conscio dell’inferiorità numerica delle sue truppe, si ritira nella città di Barletta in attesa di rinforzi dalla Spagna. Il comandante francese Louis d’Armagnac duca di Nemours dispiega le sue forze attorno alla città pugliese in un ampio semicerchio cercando, con continue scorrerie, di impedire l’afflusso di viveri alla città. Inizia così una guerra di sortite e colpi di mano spesso accompagnate da sfide e singolar tenzoni.
In entrambi gli eserciti militano molti italiani provenienti dal disciolto esercito aragonese. Con i francesi troviamo le truppe dei baroni angioini come: Andrea Matteo Acquaviva duca d’Atri, Troiano Caracciolo principe di Melfi e Roberto Sanseverino principe di Salerno. Con gli spagnoli altri nobili e capitani come Andrea da Capua duca di Termoli e i cugini Prospero e Fabrizio Colonna.
Sono soprattutto le bande “colonnesi”, il 15 gennaio 1503, le protagoniste, di una grossa sconfitta dell’esercito francese sotto Barletta. Tra i cavalieri fatti prigionieri c’è un certo capitano Charles de la Motte, il quale, com’è noto, trattato cavallerescamente, durante un banchetto dichiara di riconoscere pienamente il valore degli spagnoli ma non degli italiani. Da questo fatto parte la sfida degli italiani e la conseguente disfida di Barletta del 13 febbraio 1503 (fig.1).
Vi partecipano tredici cavalieri da una parte e tredici dall’altra, tutti equipaggiati alla maniera degli uomini d’arme con cavalli ricoperti da barde di cuoio cotto e frontali di ferro. I cavalieri italiani provengono quasi da ogni provincia della penisola e sono comandati da Ettore Fieramosca. Lo scontro si svolge non a Barletta ma a metà strada tra Andria e Corato, in località S.Elia a quel tempo sotto la giurisdizione veneziana.
Racconta lo storico Paolo Giovio che i francesi, comandati dal La Motte, “comparvero con bellissimi saioni di cremisi e broccato d’oro”, mentre gli italiani, a detta del cronista spagnolo Antonio Rodriguez Villa, indossano sopra le armi sopravvesti di raso metà bianco e metà violetto alla divisa della regina Isabella moglie del re spagnolo Ferdinando. Il Giovio racconta anche che Prospero Colonna arma i suoi con lance forti e quasi più lunghe di un braccio di quelle francesi, e due stocchi. Poi, al posto della mazza di ferro, dà a ciascuno una scure contadina di gran peso e infine, sul luogo del combattimento, fa piantare in terra degli spiedi “acciocché quei che fossero gettati da cavallo, dato di mano a questi, potessero combattere”. Questi spiedi infatti furono molto utili agli italiani nel combattimento.
Al primo scontro i francesi vengono scompaginati a causa delle lance più lunghe degli italiani. Poi messe mano agli stocchi e alle accette, il combattimento passa al corpo a corpo e tre francesi sono feriti e vengono fatti prigionieri, tra di loro un certo Graian Dast che morirà poco dopo. Due italiani (per alcuni storici Miale e Capoccio per altri Bracalone e Fanfulla), rimasti a piedi per la morte dei loro cavalli, afferrati gli spiedi cominciano a ferire quelli dei nemici e “fecero inclinar la vittoria”. Lo stesso La Motte, rimasto a piedi, viene fatto prigioniero dal Fieramosca e poco a poco tutti i francesi stanchi o feriti si arrendono. In poco più di un’ora la vittoria degli italiani è completa con solo due cavalieri Abignente e Albamonte feriti e fatti prigionieri. Unico morto della disfida il francese Graian Dast, da storici italiani, come il Giopvio, riconosciuto come Claudio Graiano nativo d’Asti in Piemonte e perciò traditore giustamente ucciso. All’epoca, però, Asti apparteneva dal 1379 alla Francia ed era abbastanza normale che per sudditanza o vassallaggio suoi cittadini militassero nelle fila francesi, come del resto altri italiani combattevano per gli spagnoli per eguali motivi. Storici e cronisti riportano tra i francesi anche un Francesco de Pises per alcuni di loro proveniente da Pisa in Toscana ma il cronista francese Jean D’Auton lo qualifica “Francois savoisien” cioé savoiardo. E non era il solo, il D’Auton nella sua lista dei francesi alla disfida menziona ben quattro cavalieri provenienti dalla Savoia (Pierre de Chals, François, La Fraxe e Casset), infatti i tredici francesi provenivano tutti dalla compagnia del signore De la Palisse nella quale militava il contingente del duca di Savoia Filiberto II° (antenato dei futuri re d’Italia).
Veniamo ora alle altre disfide che si sono svolte in quella guerra. La prima in ordine cronologico è quella di Trani del 20 settembre 1502 (fig.2), tra undici cavalieri spagnoli e altrettanti francesi. Tutti i partecipanti sono armati da uomini d’arme e anche tutti i cavalli dei due gruppi sono protetti da barde tranne tre di parte francese (come racconta il D’Auton). Niente si sa dell’abbigliamento dei contendenti, (alla Biblioteca Nazionale di Parigi è conservata una miniatura che rappresenta la scena appartenente alla cronaca del D’Auton ma è poco precisa) probabilmente i francesi portano la croce bianca e gli spagnoli quella rossa, segni di riconoscimento delle due nazioni in quel periodo.
Il combattimento è furioso e terribile. A un certo punto gli spagnoli hanno la vittoria in mano, con sette uomini a cavallo e due a piedi contro due francesi a cavallo e sette a piedi. Questi allora, non potendo più sostenere l’impeto degli iberici, si ritraggono dietro i cavalli caduti e si difendono con molto valore, aiutati anche dal sopraggiungere della notte. I giudici allora, dopo quasi sei ore di combattimento, dichiarano chiusa la contesa negando la vittoria a entrambe le parti. Tra gli spagnoli si sono distinti Diego Garcia de Paredes e Diego de Vera, tra i francesi Jacques de Montdragon e Pierre de Bayard, il famoso “cavaliere senza macchia e senza paura”.
D’allora in poi francesi e spagnoli si guerreggiano con più ardore di prima, tanto che sembra combattano più per la gloria che per il regno.
Il 1° febbraio si svolge la sfida tra Bayard e un capitano spagnolo di nome Alonzo de Sotomayor (fig.3). I cronisti francesi come D’Auton e il Loyal Serviteur, biografo del Bayard, danno una descrizione più precisa dei fatti. I due si scontrano a piedi, nello stesso luogo dove avverrà la disfida di Barletta. Sono coperti dall’armatura (il Bayard indossa pure un saione bianco) hanno la visiera alzata e impugnano ciascuno uno stocco e un pugnale. Il combattimento è molto veloce e il francese, più abile, uccide Sotomayor con una stoccata alla gola.
Sempre durante l’assedio di Barletta avviene una disfida tra un italiano e uno spagnolo. L’unico a darne notizia è il già citato Villa, raccontando che un’insolente cavaliere italiano, di cui non dice il nome, sfida un certo Vozmediano uomo d’armi di Diego de Mendoza. Il Villa tace anche sul luogo dello scontro e sul giorno, ma racconta che i due combattono a cavallo molto lungamente e poi, causa la stanchezza dei cavalli, proseguono a piedi finché Vozmediano procura un gran ferita all’italiano che cade a terra. Subito lo spagnolo gli è sopra e slacciatogli l’elmo “le cortò la cabeza, per el grande enojo que dél tenìa”.
Altre sfide invece, finiscono con un nulla di fatto, come quella lanciata da Ettore Fieramosca al Forment luogotenente del Nemours o la sfida di Garcia de Paredes a Gaspar de Coligny. In entrambi i casi i cavalieri francesi non accettano lo scontro.
Ma le tenzoni cessano di colpo nell’aprile del 1503.Il “Gran Capitan”, rinforzato da truppe fresche tra le quali duemila fanti lanzichenecchi, esce da Barletta e il 28 aprile annienta l’esercito francese a Cerignola. Il 16 maggio entra a Napoli e il 19 dicembre sconfigge definitivamente i francesi sul fiume Garigliano. Manda poi alcuni suoi capitani a prendere possesso delle città del regno ancora alleate ai francesi, tra le quali la città di Rossano in Calabria, dove avviene l’ultima disfida di questa guerra (fig.4).
Nel maggio 1504 Rossano, ultima città rimasta fedele ai francesi, viene assediata da duemila spagnoli comandati da Garcia de Paredes e da Gonzalo Pizzarro. Giovanni Battista Marzano signore della città oppone una fiera resistenza ma invano. È durante questo assedio che avviene una disfida in campo chiuso tra tre fanti italiani e tre fanti spagnoli. Il cronista Perez del Pulsar è l’unico a ricordare questo fatto dicendo che gli spagnoli “avendo penato molto pericolo e lavoro con forza riuscirono a vincere gli italiani e farli prigionieri”. Tra le illustrazioni della “Chronica de los Reyes Catholicos” di Hernando del Pulgar c’è una che potrebbe rappresentare questa disfida. Si vedono infatti, dentro uno steccato, tre fanti spagnoli riconoscibili dalla bandiera con l’aquila di San Giovanni d’Aragona, mentre stanno per vincere altri tre fanti accompagnati da una bandiera con una testa di cavallo. Quest’ultimi probabilmente sono i fanti del Marzano che adottava come antico cimiero di famiglia l’unicorno. La (fig.4) è tratta da questa illustrazione.
Bibliografia:
Paolo Giovio “La vita del Gran Capitano”; Filippo Abignente “La disfida di Barletta”; Jean D’Auton “Croniques de Louis XII”; Le Loyal Serviteur “Histoire de Bayart”; A. Rodriguez Villa “Cronicas del Gran Capitan”; Perez del Pulgar “Coronica Llamada..”; Hernando del Pulsar “Chronica de los Reyes Catholicos”.
Complimenti per l’articolo e per aver ricordato un evento poco considerato a livello nazionale ma che vede uniti, forse per la prima volta, uomini italiani di varia provenienza geografica contro l’invasore francese.
Ricordando che l’epica Disfida precede di almeno 350 anni il processo di unità nazionale.
Peut-être faut-il rappeler que c’est le même “invasore francese” qui a aidé l’Italie dans son projet d'”unità nazionale” avec Napoléon III.